La Madre del Patriarca
Premetto subito, a scanso di equivoci che chi scrive a suo tempo gridava nei cortei “io sono mia” con zoccoletti e gonne fiorate. Quindi risparmiatemi l’etichetta della reazionaria, cattolica e fascista perché non rientro in nessuna di queste tre categorie. E dal momento che per definizione, sono divergente e rifuggo da modelli e categorie farò qui una riflessione in antitesi con l’opinione pubblica di questo momento impegnata a demonizzare il maschile in ogni sua espressione. Certamente l’ondata di commozione che è seguita alla morte della giovane Giulia, dal suo (altrettanto giovane) fidanzato è giusta è sacrosanta. È orribile togliere la vita di un altro essere umano, solo perché non risponde ai tuoi bisogni e alle tue esigenze. Ma dobbiamo domandarci se questa deriva di aggressività e violenza sia solo il frutto del “patriarcato” o se non sia, invece, il frutto di una continua comunicazione rivolta alla volenza, alla sopraffazione, alla affermazione di chi sa alzare di piu’ la voce.
Caratteristiche solo maschili? No. Io non guardo mai la televisione, ma la mia anziana madre sì e nella fascia dei programmi delle prime ore del pomeriggio, un programma dal titolo emblematico “Uomini e Donne”, mostra una aggressività femminile spaventosa, incarnata in una specie di soubrette biondo platino abbastanza in carne e dai modi volgari, che trasuda aggressività da tutti i pori dirigendola indistintamente sia verso il sesso femminile che quello maschile. E sembra che abbia un seguito (si chiama audience) non indifferente. Ora la mia considerazione è la seguente: se questa signora avesse dei figli maschi (o anche delle femmine, quindi di fatto PERSONE) che tipo di messaggio relazionale manderebbe ai propri figli?
Questa piccola metafora per dire che sicuramente il patriarcato ha fatto dei danni incalcolabili nel corso della storia, ma che il problema è delle PERSONE e non del loro genere sessuale. I maschi che uccidono le donne hanno avuto delle madri che li hanno generati. La domanda è: che tipo di messaggio è stato loro inviato sul femminile? Che tipo di messaggio è stato loro trasmesso sulla coppia e sulla relazione? Il mondo maschile è stato generato da energie femminili, se queste ultime non ci fossero state non ci sarebbero stati nemmeno questi maschi. Attenzione questa non è una difesa del patriarcato, ogni forma di “ato” è da deprecare e sarebbe da annullare, ma la demonizzazione del maschile non porta e non porterà certamente nulla di buono. Né al livello sociale e né a livello di spiritualità collettiva.
E c’è inoltre da domandarsi perché questa energia maschile, che rappresenta in ognuno di noi (anche nelle donne) la capacità di essere assertivi e di non lasciarsi condizionare, venga minata nel profondo, prima in una diluizione progressiva nella fluidità e della non identità sessuale e poi con l’identificazione del maschio nel lupo cattivo a tutti i costi. No. Non è così. Esistono una infinità di uomini e maschi empatici, intelligenti, amorevoli, accudenti, rispettosi e liberi da forme di condizionamento patriarcale.
Eh, ma sono pochi. No. Non è vero. Sono in tanti, tantissimi. Ma si sta dando evidenza solo ad una minoranza efferata, portando sempre in primo piano i loro gesti di sopraffazione che si spargono come un virus letale (a proposito) del quale veramente bisognerebbe avere timore. Il maschile e il femminile sono due facce della stessa medaglia che devono stare in perfetto equilibrio sincronico. È una legge universale di omeostasi e proprio perché fino ad oggi non è mai stata rispettata ci troviamo a vivere questi delitti a catena. Così come la comunicazione orientata costantemente verso la morte non aiuta e spezzare questo modello di annientamento.
Fare un elenco delle donne uccise e mandarlo dappertutto puo’ aiutare? No che non aiuta
Ma è per fare memoria. Certo. Ma una memoria di morte.
Invece che discutere di patriarcato forse dovremmo discutere e educare (e educarci) alla “relazione”. Non solo la relazione tra uomo e donna come persone, ma soprattutto tra il maschile e il femminile a livello simbolico, dal momento che si sta creando (in modo preoccupante) una disarmonia molto forte in questa importante polarità che costituisce il perno dei movimenti dell’intero universo e che ha una forte ricaduta nella nostra realtà quotidiana, anche se non ne percepiamo in modo tangibile gli effetti. “Come in alto, così in basso”, recita un antico documento chiamato la Tavola Smeraldina. Tutto soggiace alle stesse leggi: dalle reazioni chimiche che avvengono nelle nostre cellule, a quelle che avvengono in qualsiasi parte dell’universo e guardando la realtà in questa ottica non ci può apparire strano che l’armonia degli archetipi del maschile e femminile abbiano una così forte influenza nella realtà materiale e biologica. Eventi che accadono in una metarealtà simbolica possono influenzare il resto del sistema senza che alcuna energia si trasmetta materialmente, come affermano del resto il teorema di Bell o la teoria olonomica di David Bohm.
Ma per tornare al tema della relazione tra maschile e femminile c'è una grossissima cesura nell'asse uomo/donna e anche nel riconoscimento interiore di questo asse, che Jung chiama Animus e Anima. Come accennavamo prima, l'Universo ha creato un sistema omeostatico, dove in ognuno di noi la parte maschile e quella femminile dovrebbe coesistere nell'equilibrio giusto stabilito dalla natura e dal sentire di ognuno. Ma questo equilibrio, oggi, è totalmente disallineato. Essere un “insieme” con un’altra persona, significa avere capito, che in quell’insieme c’è libertà, protezione, apprezzamento. Un insieme che non ci vuole cambiare, perchè le cose che si amano, non si vogliono cambiare. La parola “insieme” quando è interpretata nella maniera giusta non spaventa, perché è qualcosa che fa parte di noi, come un organo vitale sano, che non ci puo’ mai portare malessere, ma solo energia, gioia e forza. Un “insieme” vero e autentico non rende prigionieri. Nel maschile e femminile oggi hanno un ruolo fondamentale le espressioni simboliche della identità e del possesso. C’è allora da domandarsi subito, di fronte ad esse: quanto viviamo le relazioni come “proprietà”? E quanto, questa idea di “proprietà” ci crea, di rimando, una sorta di confine o limite per noi stessi? In fondo, la maggior parte delle volte, siamo dei “proprietari confinati”, limitati noi stessi in una “proprietà” che ci schiavizza. La questione, quindi, è anche di tipo “grammaticale”: quanto quel “mio” puo’ diventare “suo”. E quanto tutto questo non possa diventare mai un “nostro”. Il possesso è una linea reale o mentale, che delimita qualcosa o qualcuno, e che, inevitabilmente gli impedisce una evoluzione, una realizzazione. L’amore, come sua struttura fondamentale è invece la capacità di consentire a sé stessi e all’altro la piena realizzazione in una reciprocità di essere. Una doppia visione, un contemplare la diversità insita in ogni alterità ed accoglierla dando esistenza ad una differenza che deve completare. Nel possesso questa diversità costruttiva è messa in un recinto, limitata. E non c’è relazione ma l’esaltazione dell’individualità e del potere sulle cose e sulle persone. A volte cerchiamo qualcosa che ci dica che vale la pena avere ancora qualcuno accanto a noi. Ci allambicchiamo a cercare intese sessuali, interessi comuni, ci sforziamo di improvvisare affinità elettive che non esistono o che non sono mai esistite e in ogni caso, sempre, attribuiamo all'altro le eventuali mancanze. Ma le mancanze o i vuoti stanno all'interno di noi stessi e sono magari vuoti che abbiamo ereditato aa esperienze precedenti, anche da molto lontano.
Ed è in quel momento che dobbiamo percepire la differenza tra un "rapporto" e una “reciprocità”. Il termine reciproco deriva dal latino reciprŏcus, che significa “che va e viene, che fluisce e rifluisce”. È un termine composto da due parole recus “che sta indietro” e procus “che sta innanzi”. Appunto un fluire e rifluire. Un passaggio costante di energia da un punto all’altro. Le relazioni di bisogno colmano i nostri vuoti senza farli respirare. Le relazioni di reciprocità ci rendono persone migliori, ci aprono alla vita, alla libertà di essere noi stessi, anche se legati profondamente ad un'altra persona. Perchè la reciprocità ci permette di accogliere e seminare Amore. Attenzione, l’amore come libertà non significa una anarchia o un territorio senza confini nel quale tutto è lecito indiscriminatamente. L’Amore come libertà è anzi un percorso difficile che richiede maturità, ma soprattutto la trascendenza delle categorie. Anche L’amore come libertà ha dei “confini”, ma sono dei confini stabiliti nella reciprocità di delimitare un territorio “sacro”, nel quale il maschile e il femminile trovano il loro equilibrio di molteplicità e differenza. Questo confine non è più, quindi, una prigione, ma un confine abitato, nel quale l’Altro ci mostra la sua differenza, mantenendo il suo “segreto” in un “insieme” aperto.