Trovare beneficio

Applicare la regola del beneficio nella vita significa non rimanere fermo nella situazione di difficoltà ma trascenderla e imparare da essa il suo messaggio evolutivo che mi consentirà di trasformarla in una risorsa. Questa semplice (ma al contempo complicata) regola, se estesa a tutti i settori e gli avvenimenti della vita ci consente di osservare la realtà in un modo diverso e scoprire che quelle che consideriamo difficoltà insormontabili e l’idea stessa del “dolore”, sono una costruzione legata a modelli e stereotipi che non ci appartengono.

Prendiamo ad esempio una delle cose che maggiomente spaventa nell’mmaginario collettivo: la malattia e la morte. L’idea di malattia è legata convenzionalmente ad un modello negativo che parte già dall’etimologia del termine: male che, avverbio o sostantivo, deriva dal latino măle, a sua volta da mălu(m) che propriamente significa “cattivo”. Ed è “sintomatico” che la parola mescoli sin dal suo passato le proprie accezioni etiche e morali, ovvero qualcosa di dannoso, non giusto, o imperfetto, a quelle assai più concrete della sofferenza e del dolore fisico o psicologico. Del resto, la sofferenza e il dolore sono trasversalmente da sempre collegati a un’assenza di equilibrio o a uno scompenso di energie. Ma basta spostare il punto di vista, che lo stesso concetto, in alcune culture è, all’opposto, considerato una opportunità se non addirittura un “talento divino”. La divisione tra psiche, corpo e spirito ha privato l’essere umano della sua unità/unicità rendendolo “diviso in sé stesso” e carente di quel benessere che ha origine proprio da questa unità. La “malattia”, così come i modelli e gli stereotipi culturali ce l’hanno fatta interiorizzare profondamente, è vissuta con molto timore, come un ostacolo da eliminare. In realtà potrebbe sorprendere un altro punto di vista totalmente opposto a questo modello: la malattia come “amica” che può essere accolta e ascoltata per comprenderne il messaggio globale di aiuto per la sua stessa risoluzione o miglioramento.

Oggi, anche attraverso gli studi dell’Epigenetica sappiamo che gli stimoli simbolici, anche di natura squisitamente culturale, sono in grado di promuovere trasformazioni nel nostro sistema biologico. Ogni parte del corpo, ogni organo, ogni tessuto e ogni cellula rispondono, nella loro funzione, a un “ruolo preciso” da svolgere, per custodire l’assetto e la funzionalità del sistema, come “strumenti” indispensabili per muoversi sul piano materiale. È proprio grazie a questa “specificità di funzione”, che nel sistema simbolico la coscienza collettiva ha impresso, nel corso dei millenni, una “funzionalità” e un “significato”, paralleli a quello fisiologico e organico.   Interiorizzare questa visione simbolica della malattia e del suo significato, ci permette di ricostituire la nostra “unità” originaria, traducendo ogni parallelo biologico nel suo valore animico primordiale. Il corpo è un “libro”: riconoscere la “funzionalità analogica” di un organo significa penetrarne il significato invisibile, che è la “zattera” che conduce da un codice ad un altro codice per capire o, meglio, comprendere, quello che è il linguaggio della vita. Le antiche culture misteriche ci insegnano che tutto ciò che esiste al di fuori dell’uomo ha il suo analogo nell’uomo. In natura, come abbiamo detto in precedenza, in ogni piccola parte è contenuta l’immagine dell’intero universo.

Le pratiche del Transurfing che sono fondamentali in Biosimbologia nel processo di trasformazione della risposta biologica in una risorsa per la propria evoluzione.

  1. Osservare sé stessi e la realtà circostante: la vita dell’uomo è una catena di cause ed effetti ed ogni effetto è sempre collocato vicino alla sua causa. I settori vicini dello spazio si dispongono in linee della vita. La realtà che ci circonda è l’immagine speculare o quasi di ciò che si trova nei nostri pensieri. Generalmente siamo portati a fissare costantemente soltanto la realtà apparente senza però rivolgere lo sguardo verso l’immagine di partenza: noi stessi e trovare lì l’informazione del cambiamento. Per mantenere la consapevolezza, occorre quindi osservare sé stessi e mantenere tale osservazione indipendentemente da quello che sta succedendo nella realtà.
  2. La malattia come Pendolo: quando dei gruppi di persone cominciano a pensare in una stessa direzione, le loro “onde mentali” si sovrappongono creando strutture energetiche d’informazione invisibili ma reali: i pendoli. Questo è accaduto nella concezione “sociale” della malattia che si è sviluppata in modo autonomo sottomettendo le persone alle proprie leggi. Il senso di “ineluttabilità” della malattia e la definizione del malato come “paziente” (colui che aspetta passivamente), ha tolto alla persona il senso della responsabilità verso la propria salute e della libertà di scegliere il percorso più adatto alle proprie esigenze (sia esso allopatico, naturale o, ancora meglio, integrato) diventando un ingranaggio di un grande meccanismo.
  3. Il Potenziale Superfluo della malattia come lotta: il potenziale superfluo è una tensione, una perturbazione locale in un campo energetico omogeneo. Questa disomogeneità si crea quando a un determinato oggetto viene attribuito un significato eccessivo. In tal senso la paura della malattia diventa un potenziale superfluo, poiché determina l’assenza della propria forza vitale, intrinseca nella fisiologia umana, che al contrario è un elemento fondamentale e imprescindibile per la guarigione.
  4. Riconoscere il simbolo come Segno della Trasformazione: i segni conduttori sono quelli che indicano una svolta nella corrente delle varianti per trasformare la propria malattia in una evoluzione.
  5. La perdita di importanza come libertà dalla malattia: abbiamo visto che la malattia è un pendolo. Non disperdendo la propria energia lottando contro di esso e dandole risonanza, si diventa “spettatori attivi” invece che attori, assumendo in questo modo una prospettiva più distante, rilassata e obiettiva.
  6. Riconfigurare la malattia in risorsa evolutiva: di fronte all’insorgenza di una malattia (che nel linguaggio biosimbolico chiamiamo risposta biologica) è necessario dare una riconfigurazione ai nostri pensieri, smettendo di rimandare la vita a un dopo (soprattutto avendo paura di questo dopo), cominciando a vivere nell’adesso, valorizzandolo.
  7. L’attenzione al “beneficio” della risposta biologica: se una persona è malata, quasi tutta la sua energia è usata per combattere la malattia. Facendo l’opposto tutto si risolverà in modo evolutivo. “Esiste un paradosso la cui essenza è la seguente: quanto più alta è la qualità della manutenzione dell’organismo, tanto maggiori sono le pretese che esso avanza”. La capacità di sopravvivere in condizioni estreme gli è stata trasmessa da madre Natura. Quando l’organismo viene liberato dalle scorie, prende inizio il processo di depurazione, rinnovamento, rigenerazione. A questo punto l’organismo ricorda com’era in origine, come la Natura l’aveva creato e si dà da fare per ripristinare e rigenerare tutto quello che fino ad ora aveva perso. Bisogna smettere di torturarsi e passare all’azione. Tutti i pensieri devono essere volti al benessere, e ai pensieri che mettono in luce la nostra ricchezza.  
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A questo punto non potremmo più affermare che la mente crea la coscienza (cogito ergo sum) ma al contrario, sarebbe la coscienza a creare l’illusoria sensazione di un cervello, di un corpo e di qualunque altro oggetto ci circondi che noi interpretiamo come “fisico”. Se partiamo dal presupposto che la realtà è fatta di possibilità, dove “tutto interagisce con tutto”, quando noi osserviamo solo un singolo dettaglio, ci troviamo di fronte a tutto l’Universo” e non avendo a disposizione gli strumenti cognitivi per gestire una massa di “informazioni” così grande, possiamo soltanto interpretarle con la consapevolezza che ciò che si percepisce come reale è comunque una nostra “creazione”. Malattia compresa. Chiunque può allora sviluppare, anche utilizzando la sua razionalità, la propria capacità animica di guidare consapevolmente le esperienze che vive e vivrà nel suo futuro. Quello che determina che cosa si manifesta (attualizza) è l’interazione/osservazione e attraverso di essa la trasformazione in una risorsa per la nostra evoluzione, di ciò che è limitante e destabilizzante, biologicamente, emotivamente e spiritualmente all’interno del nostro sistema biosimbolico.

Nella medicina allopatica si è “pazienti”. Il termine deriva dal latino patiens, participio presente di pati cioè “patire, soffrire, sopportare”. Il paziente è colui che soffre, che sopporta. E la malattia viene percepita come componente ineluttabile di questa sofferenza e passività che rende inevitabilmente dipendenti da una persona che “decide” in base alla sua competenza e a protocolli “standard” stabiliti per quella o quell’altra patologia. Nella prospettiva Biosimbolica il modello si ribalta rendendo la persona, di fatto, un sistema vitale unico e irripetibile, proattivo e responsabile. La malattia è una nostra alleata, ci rivela il nostro disagio esistenziale, e ci aiuta nel nostro cammino evolutivo a capire più profondamente noi stessi. Non si è più “pazienti”, ma al contrario il cammino di guarigione diventa un percorso di responsabilità, di “azione” e in casi estremi anche di accettazione delle proprie motivazioni profonde, per la conclusione del nostro viaggio terreno.